SIETE TUTTI INVITATI A CASA MIA
Steven Grieco
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 3 dicembre 2009
LE LEGGI DELL'OSPITALITA'
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Tokio 12 febbraio 2009
Carissimi,
Questo pomeriggio con la caviglia dolorante per la frattura multipla, sono andato a cercare il susino in fiore. E' stato Tadashi Mihara, il ragazzo che Teppei impiega come tuttofare in casa – da esperto di software a pulitore delle scale del palazzo di sua proprietà – a darmi questa informazione.
Mihara lavora e inoltre studia all'università.
Qualche giorno fa gli ho regalato il mio cappellino Kulu dell'Himalaya, cosa che gli ha fatto immenso piacere.
Quella mattina – era venerdì – mi dice di aver visto qua vicino un susino che inizia a fiorire. Sa che lo sto cercando, e che non posso andare troppo lontano nella mia condizione. Per aiutarmi a trovare il posto, mi ha stampato una cartina da Internet del posto, che non sta a più di dieci minuti da qui.
Domenica ci sono andato.
Non si creda che una cartina renda molto più facile trovare i posti a Tokyo – bisogna conoscerli per esperienza diretta. Sono uscito di casa un po' dubbioso.
Erano quasi le cinque di pomeriggio di un giorno d'inizio febbraio. Le giornate si stanno allungando sensibilmente, e già ti rendi conto quanto la luce è in espansione, raggiungendo ogni giorno un po' di più i quarti autunnali del cielo che ancora stanno in ombra.
Mi sono avviato lungo la via a sei corsìe di Roppongi Dori, fiancheggiata da palazzoni. 
Domenica sera, pochissima gente in giro anche per il freddo, qualche macchina che passa a velocità. Ho una sensazione di vertigine quando esco per le vie di Tokyo, mi sembra di esserci già stato, le vie così impersonali mi sono familiari.
Penso che il mistero stia proprio nella luce, che mi affascina, mi culla, mi mormora qualcosa di dolce come una madre.Un vento di tramontana che spazza, selvaggio.
La strada sopraelevata getta grandi ombre dappertutto, cercando di ostruire l'ultimo sole ma non ci riesce, perché quello si è intrufolato nello scorcio di cielo direttamente davanti a me, e adesso cala in verticale abbagliandomi con sua luce obliqua.
Seguendo la cartina di Mihara, ho proseguito per il vialone, poi ho svoltato a destra, entrando nelle piccole vie che, come spesso succede, trovi dietro i grandi palazzi: vie silenziose, deserte, fiancheggiate da casette tradizionali con striscia di giardino protetta da muro.
Ho svoltato a sinistra in un'altra via simile, scendendo un po', poi a destra in un'altra ed ecco, in un troncone di un'altra via ancora, che discende, uno di quei giardini severi, stretti.
Sopra il muro, una profusione di rami protesi in alto: un vecchio susino che inizia appena a fiorire, e subito accanto un ciliegio ancora del tutto spoglio : e tra i loro rami, sette o otto canne di bambù. Le canne di bambù salgono molto più in alto, sono tozze, e hanno qualche ciuffo di foglie; adesso nel vento che infuria, ondeggiano e toccandosi emettono un suono cavo…
Mi sono fermato a lungo, commosso. Era la prima volta che vedevo un susino giapponese in fiore, quei primi timidi fiori e la sera gelida… Sono quasi del tutto isolato da tre mesi, vivo in una casa con inquilini che vedo di sfuggita qualche volta al giorno, e la solitudine certo non mi pesa. Ma ho capito il senso interno di così tante poesie giapponesi che avevo tradotto.
Le ho capite non per immagine, non per intellezione, non per tutto il bagaglio di conoscenze acquisite – ma per l'attimo di sentimento vissuto. Perché quei poeti si rivolgevano agli alberi in fiore quando la solitudine li pungeva. Certo che lo facevano, perché un albero in fiore ti mormora qualcosa, quasi come un essere umano.
Ti narra il bello, l'armonia e la gioia, dicendoti che non sei davvero mai solo. Ma se gli dici qualcosa tu, la sua sarà una risposta muta: l'occhieggiare dei singoli fiori, il muoversi dei rami nel vento.Ho sentito la folla di poeti silenziosi, vicinissimi a me, i poeti con cui ho dialogato per innumerevoli ore nei giorni e nelle notti degli ultimi dieci anni, le grandi poetesse, ciascuna delle quali ho amato profondamente anche come donna…
Torno che è quasi buio. Mentre mi tolgo le scarpe nel pianerottolo di entrata, sento oltre la porta a vetri chiusa il pianoforte computerizzato in salotto che manda le sue cascate di note angosciate ma vuote, esprimenti tutta l'amarezza, il dolore e l'egoismo dell'uomo che le ha programmate, senza mai suonarle lui stesso. Per un attimo penso alla somiglianza con il bambù… no, il rumoreggiare di quelle canne è il vuoto della pace col mondo. 
Un saluto e a prestissimo. Dovete infatti considerarvi tutti invitati a casa mia.
Steven

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